2
novContributo della Consulta delle Fondazioni Umbre
49. Mentre il Santo era sul monte della Verna, chiuso nella sua cella, un confratello desiderava ardentemente di avere a sua consolazione uno scritto contenente parole del Signore con brevi note scritte di proprio pugno da san Francesco. Era infatti convinto che avrebbe potuto superare o almeno sopportare più facilmente la grave tentazione, non della carne ma dello spirito, da cui si sentiva oppresso.
Pur avendone un vivissimo desiderio, non osava confidarsi col Padre santissimo ma ciò che non gli disse la creatura, glielo rivelò lo Spirito.
Un giorno Francesco lo chiama: «Portami – gli dice – carta e calamaio, perché voglio scrivere le parole e le lodi del Signore, come le ho meditate nel mio cuore».
Subito gli portò quanto aveva chiesto, ed egli, di sua mano, scrisse le Lodi di Dio e le parole che aveva in animo. Alla fine aggiunse la benedizione del frate e gli disse: «Prenditi questa piccola carta e custodiscila con cura sino al giorno della tua morte».
Immediatamente fu libero da ogni tentazione, e lo scritto, conservato, ha operato in seguito cose meravigliose.
UN’ESTASI
98. Spesso rimaneva assorto preso da tanta dolcezza di contemplazione, che rapito fuori di sé, non faceva capire a nessuno ciò che esperimentava di sovrumano. Tuttavia anche da un solo fatto, che una volta avvenne in pubblico, possiamo dedurre con quale frequenza dovesse essere profondamente immerso nella dolcezza celeste.
Un giorno doveva attraversare sul dorso di un asino Borgo San Sepolcro, e poiché aveva fissato di riposare in un lebbrosario, molti vennero a sapere del passaggio dell’uomo di Dio. Accorrono da ogni parte, uomini e donne, desiderosi di vederlo e di toccarlo con la devozione consueta. E che dire? Lo toccano e lo scuotono, gli tagliano pezzi dell’abito per conservarli. Ma Francesco sembra insensibile a tutto e niente avverte, come un morto, di ciò che avviene. Lo conducono finalmente al luogo fissato, e dopo aver lasciato alle spalle Borgo da un pezzo, come se provenisse da altro luogo, quel contemplatore delle cose celesti chiese preoccupato quando sarebbero giunti a Borgo.
347 Finalmente arriva ad un monastero, dove rimane parecchi giorni a far da sguattero di cucina. Per vestirsi ha un semplice camiciotto e chiede per cibarsi almeno un po’ di brodo; ma non trovando pietà e neppure qualche vecchio abito, riparte, non per sdegno, ma per necessità, e si porta nella città di Gubbio. Qui da un vecchio amico riceve in dono una povera tonaca. Qualche tempo dopo, divulgandosi ovunque la fama di Franceso, il priore di quel monastero, pentitosi del trattamento usatogli, venne a chiedergli perdono, in nome del Signore, per sé e i suoi confratelli.
CAPITOLO XXIV
439 Anche un’inferma di Gubbio ebbe la gioia di essere miracolata da Francesco. Aveva le mani rattrappite e non poteva far nulla. Quando seppe che il Santo era arrivato in città, gli corse incontro, gli mostrò affranta le mani contorte, supplicandolo che gliele toccasse. Egli, impietositosi, fece quanto gli si chiedeva e la povera donna guarì. Questa, tutta lieta, tornò a casa, impastò con le proprie mani una focaccia di farina con formaggio e l’offrì a Francesco, che per renderla felice ne gradì un poco, dicendo alla donna di mangiare il resto con la sua famiglia.
I MIRACOLI DI SAN FRANCESCO
549 132. Una bambina di Gubbio dalle mani rattrappite, già da un anno aveva perduto l’uso di tutte le membra. La balia, fiduciosa di ottenerne la guarigione, la porta alla tomba di san Francesco, recando con sé anche una figura di cera della misura della bimba. Dopo otto giorni di attesa, ecco avverarsi il miracolo: la piccola inferma ricupera l’uso delle sue membra, così da essere ritenuta idonea alle faccende di prima.
551 134. Una donna di Coccorano che era priva dell’uso di tutte le membra, ad eccezione della lingua, venne trasportata su barella di stuoie al sepolcro del Santo. Dopo una breve sosta, si rialzò completamente guarita. Anche un altro cittadino di Gubbio portò, dentro una cesta, un suo figlioletto davanti al sepolcro del Santo. Era talmente deformato, che aveva le tibie del tutto atrofizzate e ripiegate sui femori. Lo riebbe completamente guarito.
553 136. Una donna di nome Sibilla, da molti anni cieca, viene un giorno condotta, cieca e triste, sulla tomba del Santo. Ricupera istantaneamente la vista e se ne torna a casa lieta e giuliva.
Così anche un uomo di Spello ricupera la vista, da tempo perduta, davanti al sepolcro del Santo.
C’è a Camerino, una donna cieca all’occhio destro. I parenti le applicano sull’occhio leso un panno toccato dal beato Francesco, facendo un voto; subito esauditi, cantano a Dio e al Santo il loro gioioso ringraziamento.
Un caso analogo capita ad una donna di Gubbio, che non finisce di rallegrarsi per avere riavuta la vista in seguito a un voto fatto.
Un assisano cieco da cinque anni, che era stato amico di Francesco in vita, e continuava a pregarlo, ricordandogli la passata amicizia, si ritrovò guarito al solo contatto col sepolcro di lui.
Un certo Albertino di Narni aveva perduto completamente la vista e le palpebre gli scendevano fino agli zigomi. Appena fece voto al beato Francesco, fu prontamente guarito; allora fece i suoi preparativi e venne a visitare il sepolcro di lui.
559 142. A Gubbio, una donna paralitica ripete per tre volte il nome del beato Francesco, e subito è guarita.
Un certo Bonifacio, colpito alle mani e ai piedi da strazianti dolori, non può muoversi né camminare, e perde del tutto sonno e appetito. Viene un giorno da lui una donna e lo consiglia ed esorta a votarsi al beato Francesco, se vuole essere subito liberato. Quell’uomo, dapprima quasi impazzito a causa degli spasimi, si rifiuta dicendo: “Non lo credo un Santo”. Poi cedendo all’insistenza della donna, formula un voto così: “Mi affido all’intercessione di Francesco e lo considero Santo, se entro tre giorni mi libererà dalla mia malattia”. E viene subito esaudito, ricuperando la possibilità di camminare, l’appetito e il sonno, e rende gloria a Dio onnipotente.
VITA SECONDA DI SAN FRANCESCO
TOMMASO DA CELANO
CAPITOLO LXXVII
UNA SCROFA MALVAGIA UCCIDE A MORSI UN AGNELLO
111 Già da altre pagine risulta abbastanza chiaro che la sua parola era di una potenza sorprendente anche a riguardo degli animali. Tuttavia toccherò appena un episodio che ho alla mano.
Il servo dell’Altissimo era stato ospitato una sera presso il monastero di San Verecondo, in diocesi di Gubbio, e nella notte una pecora partorì un agnellino. Vi era nel chiuso una scrofa quanto mai crudele, che, senza pietà per la vita dell’innocente, lo uccise con morso feroce.
Al mattino, alzatisi, trovano l’agnellino morto e riconoscono con certezza che proprio la scrofa è colpevole di quel delitto. All’udire tutto questo, il pio padre si commuove, e ricordandosi di un altro Agnello, piange davanti a tutti l’agnellino morto: «Ohimé, frate agnellino, animale innocente, simbolo vivo sempre utile agli uomini! Sia maledetta quell’empia che ti ha ucciso e nessuno, uomo o bestia, mangi della sua carne!».
Incredibile! La scrofa malvagia cominciò subito a star male, e dopo aver pagato il fio in tre giorni di sofferenze, alla fine subì una morte vendicatrice. Fu poi gettata nel fossato del monastero, dove rimase a lungo e, seccatasi come un legno, non servì di cibo a nessuno per quanto affamato.
VITA SECONDA SAN FRANCESCO
TOMMASO DA CELANO
4. Giovanni profetò chiuso ancora nel segreto dell’utero materno, Francesco predisse il futuro da un carcere terreno, ignaro ancora del piano divino.
Si combatteva tra Perugia ed Assisi. In uno scontro sanguinoso Francesco fu fatto prigioniero assieme a molti altri e, incatenato, fu gettato con loro nello squallore del carcere. Ma, mentre i compagni muoiono dalla tristezza e maledicono la loro prigionia, Francesco esulta nel Signore, disprezza e irride le catene. Afflitti come sono, lo rimproverano di essere pieno di gioia anche nel carcere, e lo giudicano svanito e pazzo. Ma Francesco risponde con tono profetico: «Di cosa pensate che io gioisca? Ben altro è il mio pensiero: un giorno sarò venerato come santo in tutto il mondo». In realtà è così: si è avverato completamente ciò che ha predetto.
7. Cominciò a trasformarsi in uomo perfetto, del tutto diverso da quello di prima. Ma, ritornato a casa, i figli di Babilonia ripresero a seguirlo, e sebbene contro sua volontà, lo trascinarono su una strada ben diversa da quella che egli intendeva percorrere. La compagnia dei giovani di Assisi, che un tempo lo avevano avuto guida della loro spensieratezza cominciò di nuovo a invitarlo ai banchetti, nei quali si indulge sempre alla licenza ed alla scurrilità. Lo elessero re della festa, perché sapevano per esperienza che, nella sua generosità, avrebbe saldato le spese per tutti. Si fecero suoi sudditi per sfamarsi ed accettarono di ubbidire, pur di saziarsi. Francesco non rifiutò l’onore offertogli, per non essere bollato come avaro, e pur continuando nelle sue devote meditazioni, non dimenticò la cortesia. Preparò un sontuoso banchetto con abbondanza di cibi squisiti: quando furono pieni sino al vomito, si riversarono nelle piazze della città insudiciandole con le loro canzoni da ubriachi.
Francesco li seguiva, tenendo in mano come signore lo scettro. Ma poiché da tempo con tutto l’animo si era reso completamente sordo a quelle voci e cantava in cuor suo al Signore, se ne distaccò a poco a poco anche col corpo. Allora, come riferì egli stesso, fu inondato di tanta dolcezza divina, da non potersi assolutamente muovere né parlare. Lo pervase un tale sentimento interiore che trascinava il suo spirito alle cose invisibili, facendogli giudicare di nessuna importanza, assolutamente frivola ogni cosa terrena.
Veramente stupenda è la bontà del Signore, che elargisce magnifici doni a chi compie le più umili azioni; che salva e fa progredire, anche nei gorghi dell’inondazione, ciò che gli appartiene. Cristo infatti nutrì con pani e pesci le folle, non rifiutò ai peccatori la sua mensa. Quando lo richiesero come re, fuggì e salì sul monte a pregare.
Sono misteri di Dio questi, che Francesco asseconda ed anche a sua insaputa è portato alla sapienza perfetta.
9. Così facendo, Francesco, benché ancora in abito secolare, aveva già un animo religioso. Lasciava i luoghi pubblici e frequentati, desideroso della solitudine, e qui, spessissimo era ammaestrato dalla visita dello Spirito Santo. Era infatti strappato via e attratto da quella sovrana dolcezza che lo pervase fin da principio in un modo così pieno, da non lasciarlo più finché visse.
Ma, mentre frequentava luoghi appartati, ritenendoli adatti alla preghiera, il diavolo tentò di allontanarlo con una astuzia maligna. Gli raffigurò nel cuore una donna, sua concittadina, mostruosamente gibbosa: aveva un tale aspetto da suscitare orrore a tutti. E lo minacciò di renderlo uguale se non la piantava coi suoi propositi. Ma, confortato dal Signore, ebbe la gioia di una risposta piena di grazia e di salvezza: «Francesco, – gli disse Dio in spirito – lascia ormai i piaceri mondani e vani per quelli spirituali, preferisci le cose amare alle dolci e disprezza te stesso, se vuoi conoscermi. Perché gusterai ciò che ti dico, anche se l’ordine è capovolto». Subito, si sentì come indotto a seguire il comando del Signore e spinto a farne la prova.
Fra tutti gli orrori della miseria umana, Francesco sentiva ripugnanza istintiva per i lebbrosi. Ma, ecco, un giorno ne incontrò proprio uno, mentre era a cavallo nei pressi di Assisi. Ne provò grande fastidio e ribrezzo; ma per non venire meno alla fedeltà promessa, come trasgredendo un ordine ricevuto, balzò da cavallo e corse a baciarlo. E il lebbroso, che gli aveva steso la mano, come per ricevere qualcosa, ne ebbe contemporaneamente denaro e un bacio. Subito risalì a cavallo, guardò qua e là – la campagna era aperta e libera tutt’attorno da ostacoli -, ma non vide più il lebbroso. Pieno di gioia e di ammirazione, poco tempo dopo volle ripetere quel gesto: andò al lebbrosario e, dopo aver dato a ciascun malato del denaro, ne baciò la mano e la bocca.
Così preferiva le cose amare alle dolci, e si preparava virilmente a mantenere gli altri propositi.
13. Da allora si adopera a trasformare il suo tenore di vita, rendendolo, da raffinato austero e a riportare alla bontà naturale il suo corpo un po’infrollito.
Un giorno andava per le vie d’Assisi mendicando olio per le lampade di San Damiano, la chiesa che stava allora riparando. Sul punto di entrare in una casa, vedendo davanti alla porta un gruppo di amici che giocava, rosso di vergogna, si ritirò. Ma, volgendo il suo nobile spirito al cielo si rinfacciò tanta viltà e divenne giudice severo di se stesso. All’istante, ritorna alla casa e, dopo aver esposto con voce sicura a tutti il motivo della sua vergogna, quasi inebriato di spirito, chiede in lingua francese l’olio di cui ha bisogno e l’ottiene.
Animava tutti, con grande zelo, a restaurare quella chiesa, e sempre parlando in francese predisse chiaramente, davanti a tutti, che lì accanto sarebbe sorto un monastero di vergini consacrate a Cristo. Del resto, ogni volta che era pieno dell’ardore dello Spirito Santo, parlava in lingua francese per esprimere il calore esuberante del suo cuore, quasi prevedendo che sarebbe stato venerato da quel popolo con particolare onore e devozione.
13. Da allora si adopera a trasformare il suo tenore di vita, rendendolo, da raffinato austero e a riportare alla bontà naturale il suo corpo un po’infrollito.
Un giorno andava per le vie d’Assisi mendicando olio per le lampade di San Damiano, la chiesa che stava allora riparando. Sul punto di entrare in una casa, vedendo davanti alla porta un gruppo di amici che giocava, rosso di vergogna, si ritirò. Ma, volgendo il suo nobile spirito al cielo si rinfacciò tanta viltà e divenne giudice severo di se stesso. All’istante, ritorna alla casa e, dopo aver esposto con voce sicura a tutti il motivo della sua vergogna, quasi inebriato di spirito, chiede in lingua francese l’olio di cui ha bisogno e l’ottiene.
Animava tutti, con grande zelo, a restaurare quella chiesa, e sempre parlando in francese predisse chiaramente, davanti a tutti, che lì accanto sarebbe sorto un monastero di vergini consacrate a Cristo. Del resto, ogni volta che era pieno dell’ardore dello Spirito Santo, parlava in lingua francese per esprimere il calore esuberante del suo cuore, quasi prevedendo che sarebbe stato venerato da quel popolo con particolare onore e devozione.
14. Da quando iniziò a servire al Signore di tutti, amò sempre di fare le cose comuni, evitando ovunque la singolarità, sentina di tutti i vizi. Mentre attendeva con grande impegno a riparare la chiesa, come Cristo gli aveva ordinato, era passato da una vita contrassegnata dalla delicatezza ad una di sacrificio e dedita al lavoro. Il sacerdote, che curava la chiesa, vedendolo stremato dall’assidua fatica, commosso, cominciò a passargli ogni giorno qualcosa del suo vitto, anche se non molto saporito, perché era povero. Ma Francesco, pur comprendendo ed apprezzando la delicata bontà del sacerdote disse a se stesso: «Non troverai sempre questo sacerdote che ti somministri tali cibi. Né è bene assuefarti a questo tenore di vita: ritorneresti gradatamente a ciò che hai disprezzato, per finire di nuovo nella mollezza. Levati dunque, presto, e chiedi di porta in porta un po’di companatico». Così, se ne andò per Assisi, chiedendo di porta in porta qualche cibo cotto. Quando vide la scodella piena dei più diversi rimasugli, da prima sentì un brivido di orrore; ma, poi, ricordatosi del Signore, vinse se stesso e mangiò quel guazzabuglio con gaudio dello spirito. Tutto lenisce l’amore e rende assolutamente dolce ciò che è amaro.
15. Bernardo, un cittadino di Assisi, che poi divenne figlio di perfezione, volendo seguire il servo di Dio nel disprezzo totale del mondo, lo scongiurò umilmente di dargli il suo consiglio. Gli espose dunque il suo caso: «Padre, se uno dopo avere a lungo goduto dei beni di qualche signore, non li volesse più tenere, cosa dovrebbe farne, per agire nel modo più perfetto?». Rispose l’uomo di Dio: «Deve restituirli tutti al padrone, da cui li ha ricevuti». E Bernardo: «So che quanto possiedo mi è stato dato da Dio e, se tu me lo consigli, sono pronto a restituirgli tutto». Replicò il Santo: «Se vuoi comprovare coi fatti quanto dici, appena sarà giorno, entriamo in chiesa prendiamo il libro del Vangelo e chiediamo consiglio a Cristo».
Venuto il mattino, entrano in una chiesa e, dopo aver pregato devotamente, aprono il libro del Vangelo, disposti ad attuare il primo consiglio che si offra loro. Aprono il libro, e il suo consiglio Cristo lo manifesta con queste parole: Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quanto possiedi e dallo ai poveri. Ripetono il gesto, e si presenta il passo: Non prendete nulla per il viaggio. Ancora una terza volta, e leggono: Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso. Senza indugio Bernardo eseguì tutto e non tralasciò neppure un iota. Molti altri, in breve tempo, si liberarono dalle mordacissime cure del mondo e, sotto la guida di Francesco, ritornarono all’infinito bene nella patria vera. Ma sarebbe troppo lungo dire come ciascuno abbia raggiunto il premio della chiamata divina.
31. Il Santo ritornava dai paesi d’Oltremare con un compagno, Leonardo d’Assisi. Sentendosi stanco morto dal viaggio, montò momentaneamente su un asino. Il compagno che seguiva a piedi e non era meno stanco, cominciò a borbottare tra sé, preso da un certo risentimento umano: «Non giocavano certo a pari e caffo i genitori di costui ed i miei. Ecco, lui va a cavallo ed io, a piedi, gli guido l’asino».
Mentre rimuginava questi pensieri, il Santo balzò da cavallo: «No, non è giusto, fratello – gli dice – che io vada a cavallo e tu a piedi, perché nel mondo sei stato più nobile e importante di me».
Il frate rimase di stucco e arrossì sentendosi scoperto dal Santo. Cadde ai suoi piedi: tra lacrime abbondanti gli espose tutto il suo pensiero e chiese perdono.
39. Una volta giunsero due frati dalla Terra di Lavoro ed il più anziano era stato spesso di scandalo all’altro. Non era, veramente, un compagno ma un tiranno Il più giovane però sopportava tutto con mirabile silenzio per amor di Dio.
Giunti ad Assisi, il più giovane si recò da Francesco, perché gli era familiare. Il Santo, tra l’altro, gli chiese: «Come si è comportato verso di te il tuo compagno in questo viaggio?». «Abbastanza bene in tutto, rispose il frate». E il Santo di rimando: «Guardati, fratello, dal mentire sotto pretesto di umiltà. Perché so come si è comportato verso di te; ma aspetta un poco e vedrai».
Il frate si meravigliò moltissimo che in spirito fosse venuto a conoscere fatti accaduti a tanta distanza. Non molto tempo dopo, il frate che aveva dato scandalo al compagno, lasciò la vita religiosa e se ne uscì.
Senza dubbio è segno di animo perverso e chiaro indizio di poco buon senso viaggiare assieme ad un buon compagno e non essere dello stesso sentimento.
40. Nello stesso tempo venne ad Assisi un giovane della nobiltà di Lucca desideroso di entrare nell’Ordine. Presentato a Francesco, in ginocchio implorava a calde lacrime che lo accettasse. Ma, osservandolo attentamente, l’uomo di Dio conobbe per illuminazione del Signore che non era mosso dallo spirito: «Uomo miserabile e carnale, – gli disse il Santo –, perché pensi di poter mentire allo Spirito Santo e a me? Tu piangi lacrime carnali e il tuo cuore non è con Dio. Vai pure, perché non c’è niente di spirituale in te».
Aveva appena terminato queste parole, quando annunziarono che alla porta stavano i suoi genitori, giunti per riprendere il figlio e riportarlo a casa. Ed egli, uscito loro incontro, se ne ritornò volontariamente. I frati rimasero meravigliati e glorificavano Dio nel suo servo.
50. Riguardo allo stesso frate è rimasto famoso un altro fatto mirabile del padre santo. Mentre infatti era ammalato nel palazzo episcopale di Assisi, detto frate pensò tra sé e sé: «Ecco che il Padre si avvicina alla morte, e come sarei contento se, una volta morto, potessi avere la tonaca del Padre mio!».
Come se il desiderio del cuore si fosse espresso con la bocca, poco dopo Francesco lo chiama: «Ti do questa tonaca, – gli dice – prendila, da oggi è tua. Io la porterò finché vivo, ma alla mia morte deve passare a te».
Meravigliato di tanta intuizione del Padre, il frate accettò finalmente consolato la tonaca, che più tardi fu portata in Francia per devozione.
57. Una volta si doveva tenere il Capitolo presso Santa Maria della Porziuncola. Mentre era imminente il tempo fissato, il popolo di Assisi osservò che non vi era una abitazione adatta e, all’insaputa dell’uomo di Dio, assente in quel periodo, costruì una casa per il Capitolo, nel minor tempo possibile.
Quando il Padre ritornò, guardò con meraviglia quella casa e ne fu molto amareggiato e addolorato. Subito, per primo, si accinse ad abbatterla. Salì sul tetto e con mano vigorosa rovesciò lastre e tegole. Pure ai frati comandò di salire e di togliere del tutto quel mostro contrario alla povertà. Perché, diceva, qualunque cosa troppo vistosa fosse stata tollerata in quel luogo, ben presto si sarebbe diffusa per l’Ordine e sarebbe stata presa come esempio da tutti.
Ed avrebbe demolito dalle fondamenta la casa, se i soldati presenti non si fossero opposti al fervore del suo spirito, dichiarando che apparteneva non ai frati, ma al Comune.
76. Un’altra volta un frate se ne tornava con l’elemosina da Assisi alla Porziuncola. Giunto nelle vicinanze del luogo, cominciò a cantare e a lodare Iddio ad alta voce. Appena lo udi il Santo balzò in piedi, corse fuori e, baciata la spalla dei frate, si caricò la bisaccia sulle proprie spalle, ed esclamò: «Sia benedetto il mio fratello, che va prontamente, questua con umiltà e ritorna pieno di gioia».
77. Mentre Francesco, pieno di malattie e quasi prossimo a morire, si trovava nel luogo di Nocera, il popolo di Assisi mandò una solenne deputazione a prenderlo per non lasciare ad altri la gloria di possedere il corpo dell’uomo di Dio. I cavalieri, che lo trasportavano a cavallo con molta devozione raggiunsero la poverissima borgata di Satriano, proprio quando la fame e l’ora facevano sentire il bisogno di cibo. Ma per quanto cercassero, non trovarono nulla da comprare. Allora i cavalieri tornarono da Francesco e gli dissero: «È necessario che tu ci dia parte delle tue elemosine, perché qui non riusciamo a trovare nulla da comprare».
«Per questo motivo voi non trovate, – rispose il Santo – perché confidate più nelle vostre mosche che in Dio». Chiamava evidentemente mosche i denari. «Ma – continuò – ripassate dalle case dove siete già stati e chiedete umilmente l’elemosina, offrendo in luogo dei denari l’amore di Dio! Non vergognatevi, perché dopo il peccato viene concesso tutto in elemosina e quel grande Elemosiniere dona largamente e con bontà a tutti, degni e indegni».
Deposta la vergogna, i cavalieri andarono subito a chiedere la carità, e trovarono da comprare assai più «per amore di Dio» che col denaro. Tutti offrirono a gara, con volto lieto, e non dominò più la fame, dove prevalse la ricca povertà.
100. Il vescovo di Assisi andò un giorno, com’era sua consuetudine, per una visita amichevole da Francesco, che stava pregando nel luogo della Porziuncola.
Appena entrato, si dirige con poco riguardo, senza essere stato invitato, alla cella del Santo e, spinta la porticina, fa per entrare, quando, nello sporgere il capo, lo vede in preghiera: all’istante è scosso da tremore e mentre le membra si irrigidiscono perde anche la parola. Subito, per volontà di Dio, è respinto violentemente fuori e, sempre all’indietro, è trascinato lontano.
A mio parere, o il vescovo era indegno di assistere a quel segreto misterioso, o Francesco meritava di godere più a lungo della grazia, che già pregustava. Pieno di stupore, il vescovo ritornò dai frati e, confessata la sua colpa con un cenno di parola, riacquistò la favella.
109. Credo che non sia fuori luogo aggiungere qui la conversione del predetto Silvestro, come sia stato mosso dallo Spirito ad entrare nell’Ordine.
Silvestro era un sacerdote secolare della città di Assisi, e da lui un tempo l’uomo di Dio aveva comprato pietre per riparare una chiesa. Quando vide, in quei giorni, frate Bernardo, che dopo il Santo fu la prima pianticella dell’Ordine, lasciare completamente i suoi beni e darli ai poveri, si sentì acceso da una cupidigia insaziabile e si lamentò col servo di Dio per le pietre, che un tempo gli aveva vendute, come se non gli fossero state pagate completamente. Francesco, osservando che l’animo del sacerdote era corroso dal veleno dell’avarizia, ebbe un sorriso di compassione. Ma, desiderando di portare in qualunque modo refrigerio a quella arsura maledetta, gli riempì le mani di denaro, senza contarlo.
Prete Silvestro si rallegrò dei soldi ricevuti, ma più ancora ammirò la liberalità di chi donava. Ritornato a casa, ripensò più volte a quanto gli era accaduto, biasimandosi santamente e meravigliandosi di amare, pur essendo ormai vecchio, il mondo, mentre quel giovane disprezzava in tale modo tutte le cose. Quando poi fu pieno dibuone disposizioni, Cristo gli aprì il seno della sua misericordia, gli mostrò quanto valessero le opere di Francesco, quanto fossero preziose davanti a lui e come con il loro splendore riempissero tutta la terra.
Vide infatti, in sogno, una croce d’oro, che usciva dalla bocca di Francesco: la sua cima arrivava ai cieli, bracci protesi lateralmente cingevano tutto attorno il mondo.
Il sacerdote, compunto a quella vista, scacciò ogni ritardo dannoso, lasciò il mondo e divenne perfetto imitatore dell’uomo di Dio. Cominciò a condurre nell’Ordine una vita perfetta e la terminò in modo perfettissimo con la grazia di Cristo.
Ma, quale meraviglia che Francesco sia apparso crocifisso, lui che ha amato tanto la croce? Non è certo sorprendente che, essendo così radicata nel suo cuore la croce, che opera cose mirabili, e venendo su da un terreno buono, abbia prodotto fiori, fronde e frutti meravigliosi! Nient’altro, di specie diversa, poteva nascere da questa terra, che la croce gloriosa fin da principio aveva presa in tale modo tutta per sé.
Ma ritorniamo al nostro argomento.
132. Con eguale fervore subito svelava e confessava candidamente davanti a tutti il sentimento di vanagloria, che a volte si impossessava del suo spirito.
Un giorno, una vecchierella gli andò incontro, mentre attraversava Assisi e gli chiese l’elemosina. Il Santo non aveva altro che il mantello e subito glielo donò generosamente. Ma, avvertendo che nell’animo stava infiltrandosi un sentimento di vano compiacimento, subito davanti a tutti confessò di averne provato vanagloria.
190. Mentre Francesco passava accanto ad un borgo nelle vicinanze di Assisi, gli andò incontro un certo Giovanni, uomo semplicissimo che stava arando nel campo, e gli disse «Voglio che tu mi faccia frate, perché da molto tempo desidero servire Dio». Il Santo ne provò gioia, considerando la sua semplicità, e rispose secondo il suo desiderio: «Se vuoi, fratello, diventare nostro compagno, dà ai poveri ciò che possiedi e ti accoglierò dopo che ti sarai espropriato di tutto».
Immediatamente scioglie i buoi e ne offre uno a Francesco. «Questo bue – dice – diamolo ai poveri! Perché questa è la parte che ho diritto di ricevere dai beni di mio padre». Il Santo sorrise e approvò la sua grande semplicità.
Appena i genitori e i fratelli più piccoli seppero la cosa, accorsero in lacrime, addolorati più di rimanere privi del bue che del congiunto. «Coraggio, – rispose loro il Santo – ecco, vi restituisco il bue e mi prendo il frate». Lo condusse con sé, e dopo averlo vestito dell’abito religioso, lo prese come compagno particolare in grazia della sua semplicità.
Quando Francesco stava in qualche luogo a meditare, il semplice Giovanni ripeteva in sé e imitava subito tutti i gesti o i movimenti che egli faceva. Se sputava, sputava; se tossiva, tossiva; univa i sospiri ai sospiri ed il pianto al pianto. Se il Santo levava le mani al cielo, le alzava egli pure, fissandolo con diligenza come un modello e facendo sua ogni mossa.
Il Santo se ne accorse e gli chiese una volta, perché facesse così. «Ho promesso – rispose – di fare tutto ciò che fai tu. Sarebbe pericoloso per me trascurare qualche cosa». Francesco si rallegrò di quella schietta semplicità, ma gli proibì con dolcezza di fare più così in futuro.
Dopo non molto tempo in questa purità passò con semplicità al Signore. E quando Francesco proponeva alla imitazione la sua vita – ciò che avveniva di frequente-, lo chiamava con grande piacevolezza non frate Giovanni, ma san Giovanni.
Osserva ora che è segno distintivo della pia semplicità vivere secondo le leggi dei maggiori, seguire sempre gli esempi e gli insegnamenti dei Santi. Chi concederà ai saggi di questo mondo di imitare con tanto trasporto Francesco, ora che egli è glorificato in cielo, quanto ne ebbe questo frate semplice nell’imitarlo mentre era sulla terra ? E in realtà, dopo aver seguito il Santo da vivo, lo ha preceduto nella eterna vita.
217a. Un frate suo discepolo, assai rinomato, vide l’anima del padre santissimo salire direttamente al cielo. Era come una stella, ma con la grandezza della luna e lo splendore del sole, e sorvolava la distesa delle acque trasportata in alto da una nuvoletta candida.
Si radunò allora una grande quantità di gente, che lodava e glorificava il nome del Signore. Accorse in massa tutta la città di Assisi e si affrettarono pure dalla zona adiacente per vedere le meraviglie, che il Signore aveva manifestato nel suo servo. I figli intanto effondevano in lacrime e sospiri il pio affetto del cuore, addolorati per essere rimasti orfani di tanto padre.
Ma la singolarità del miracolo mutò il pianto in giubilo e il lutto in esplosione di gioia. Vedevano distintamente il corpo del beato padre ornato delle stimmate di Cristo e precisamente nel centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi stessi formati dalla sua carne, anzi cresciuti con la carne medesima, che mantenevano il colore oscuro proprio del ferro, e il costato destro arrossato di sangue. La sua carne, prima oscura di natura, risplendendo di un intenso candore, preannunziava il premio della beata risurrezione. Infine, le sue membra divennero flessibili e molli, non rigide come avviene nei morti, ma rese simili a quelle di un fanciullo.
8l 220. Il vescovo di Assisi in quel tempo era andato in pellegrinaggio alla chiesa di San Michele. Mentre nel ritorno si era fermato a Benevento, gli apparve Francesco, nella notte del suo trapasso, e gli disse: «Ecco, Padre, lascio il mondo e vado a Cristo».
Al mattino svegliatosi, il vescovo narrò ai compagni la visione e, chiamato un notaio, fece segnare il giorno e l’ora del transito. Ne fu molto rattristato e pianse per il dolore di avere perduto il migliore dei padri.
Ritornato poi alla sua terra, raccontò ogni cosa e ringraziò senza fine il Signore per i suoi doni.
220a. Nel nome del Signore Gesù. Amen. Nell’anno della sua Incarnazione 1226, il 3 ottobre, nel giorno che aveva predetto, compiuti vent’anni da quando aveva aderito in modo perfettissimo a Cristo seguendo la vita e le orme degli Apostoli, l’uomo apostolico Francesco, sciolto dai ceppi di questa vita mortale, passò felicemente a Cristo. E sepolto presso la città di Assisi, cominciò a risplendere ovunque per tanti e così vari miracoli, che indusse in breve tempo gran parte del mondo ad ammirare il secolo rinnovato.
Poiché già in diverse parti, si era reso famoso per lo splendore di nuovi miracoli, affluivano da ogni luogo persone gioiose di essere state liberate col suo aiuto dai loro affanni, il signor papa Gregorio, trovandosi a Perugia con tutti i cardinali ed altri prelati, cominciò a trattare la sua canonizzazione. Tutti furono concordi e si dissero favorevoli. Lessero e approvarono i miracoli, che il Signore aveva operato per mezzo del suo servo, ed esaltarono con le più alte lodi la santità della sua vita.
Anzitutto vennero convocati a tanta solennità i principi della terra. Poi, nel giorno fissato, tutto lo stuolo dei prelati e una infinita moltitudine di popolo accompagnarono il Papa in Assisi, per celebrarvi, a maggiore onore del Santo, la sua canonizzazione. Quando tutti si trovarono nel luogo preparato per una circostanza così solenne, da principio papa Gregorio parlò al popolo ed annunziò con affetto dolcissimo le meraviglie del Signore. Poi, con un nobilissimo discorso, tessé le lodi del padre san Francesco, versando lacrime di commozione mentre esponeva la purezza della sua vita.
Finito il discorso, papa Gregorio alzò le mani al cielo e con voce sonora proclamò,.
427 60. Una volta, presso Greccio, gli fu portato da un confratello un leprotto preso vivo al laccio, e il santo uomo, commosso, disse: “Fratello leprotto, perché ti sei fatto acchiappare? Vieni da me”. Subito la bestiola, lasciata libera dal frate, si rifugiò spontaneamente nel grembo di Francesco, come a un luogo assolutamente sicuro. Rimasto un poco in quella posizione, il padre santo, accarezzandolo con affetto materno, lo lasciò andare, perché tornasse libero nel bosco; ma quello, messo a terra più volte, rimbalzava in braccio a Francesco, finché questi non lo fece portare dai frati nella selva vicina. Lo stesso accadde con un coniglio animale difficilmente addomesticabile, nell’isola del lago di Perugia .
468 A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.
C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
469 85. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
569 A Greccio, un giovane, avendo perso l’udito, la memoria e la favella insieme, non può intendere né sentire nulla. I genitori, che hanno una grande fiducia in san Francesco, fanno voto a lui con suppliche sincere. Quasi subito il loro figlio, per grazia singolarissima del padre santo, ricupera l’uso di tutti i suoi sensi.
A lode, gloria e onore del Signor nostro Gesù Cristo, il cui regno e l’impero rimane stabile e imperituro nei secoli dei secoli. Amen.
Fine
VITA SECONDA DI SAN FRANCESCO DI ASSISI
TOMMASO DA CELANO
CAPITOLO VII
LIBERA GLI ABITANTI DI GRECCIO DAI LUPI
E DALLA GRANDINE
35. Il Santo si fermava volentieri nell’eremo di Greccio, sia perché lo vedeva ricco di povertà, sia perché da una celletta appartata, costruita sulla roccia prominente, poteva dedicarsi più liberamente alla contemplazione delle cose celesti. È proprio questo il luogo, dove qualche tempo prima aveva celebrato il Natale del Bambino di Betlemme, facendosi bambino col Bambino.
Ora, gli abitanti del luogo erano colpiti da diversi mali: torme di lupi rapaci attaccavano bestiame e uomini, e inoltre, la grandine stroncava ogni anno messi e viti. Un giorno Francesco, mentre predicava, disse: «A gloria e lode di Dio Onnipotente, ascoltate la verità che vi annunzio. Se ciascuno di voi confesserà i suoi peccati e farà degni frutti di penitenza, vi do la mia parola che questo flagello si allontanerà definitivamente ed il Signore, guardando a voi con amore, vi arricchirà di beni temporali. Ma – continuò – ascoltate anche questo: vi avverto pure che se, ingrati dei benefici, ritornerete al vomito, si risveglierà la piaga, raddoppierà la pena e la sua ira infierirà su di voi più crudelmente di prima».
36 Da quel momento, per i meriti e le preghiere del padre santo, cessarono le calamità, svanirono i pericoli, e i lupi e la tempesta non recarono più molestia. Anzi, ciò che più meraviglia, quando la grandine batteva i campi dei vicini e si appressava al loro confine, o cessava lì o si dirigeva altrove.
Ma nella tranquillità crebbero di numero e si arricchirono troppo di beni materiali. Ed il benessere portò le conseguenze solite: affondarono il volto nel grasso e furono accecati dalla pinguedine o meglio dallo sterco della ricchezza. E così, ricaduti in colpe maggiori, si dimenticarono di Dio che li aveva salvati. Ma non impunemente, perché il giusto castigo del Signore colpisce meno severamente chi cade nel peccato una volta di chi è recidivo. Si risvegliò contro di essi il furore di Dio ed ai flagelli di prima si aggiunse la guerra e venne dal cielo una epidemia che fece innumerevoli vittime. Da ultimo, un incendio vendicatore distrusse tutto il borgo.
È ben giusto che chi volge la schiena ai benefici, vada in perdizione.
45. San Francesco era solito passare l’intera giornata in una cella isolata e non ritornava tra i frati se non quando urgeva la necessità del mangiare. Non andava però nemmeno allora ad ore fisse, perché il desiderio prepotente della contemplazione lo assorbiva assai spesso completamente.
Un giorno arrivarono da lontano all’eremo di Greccio due frati di vita santa e gradita a Dio: volevano unicamente vedere il Santo e riceverne la benedizione lungamente desiderata. Essendo giunti e non trovandolo, perché si era già ritirato dal luogo comune nella sua cella, furono presi da grande tristezza. E poiché si prevedeva una lunga attesa non sapendo con certezza quando sarebbe uscito, presero la via del ritorno afflitti, attribuendo ciò alle loro colpe. I compagni del Santo li accompagnavano, cercando di alleviare la loro tristezza. Quando furono lontani un tiro di sasso, all’improvviso si udi alle loro spalle il Santo che chiamava ad alta voce, e poi disse ad uno dei compagni: «Di’ai miei frati che sono venuti qui, di guardare verso di me». I frati si voltarono verso di lui, ed egli tracciando un segno di croce li benedisse con grandissimo affetto.
Ed essi tanto più contenti quanto più vantaggiosamente avevano raggiunto l’intento per mezzo di un miracolo, ritornarono a casa lodando e benedicendo il Signore.
45. San Francesco era solito passare l’intera giornata in una cella isolata e non ritornava tra i frati se non quando urgeva la necessità del mangiare. Non andava però nemmeno allora ad ore fisse, perché il desiderio prepotente della contemplazione lo assorbiva assai spesso completamente.
Un giorno arrivarono da lontano all’eremo di Greccio due frati di vita santa e gradita a Dio: volevano unicamente vedere il Santo e riceverne la benedizione lungamente desiderata. Essendo giunti e non trovandolo, perché si era già ritirato dal luogo comune nella sua cella, furono presi da grande tristezza. E poiché si prevedeva una lunga attesa non sapendo con certezza quando sarebbe uscito, presero la via del ritorno afflitti, attribuendo ciò alle loro colpe. I compagni del Santo li accompagnavano, cercando di alleviare la loro tristezza. Quando furono lontani un tiro di sasso, all’improvviso si udi alle loro spalle il Santo che chiamava ad alta voce, e poi disse ad uno dei compagni: «Di’ai miei frati che sono venuti qui, di guardare verso di me». I frati si voltarono verso di lui, ed egli tracciando un segno di croce li benedisse con grandissimo affetto.
Ed essi tanto più contenti quanto più vantaggiosamente avevano raggiunto l’intento per mezzo di un miracolo, ritornarono a casa lodando e benedicendo il Signore.
61. Un giorno di Pasqua, nell’eremo di Greccio i frati avevano preparata la mensa in modo più accurato del solito, con tovaglie bianche e bicchieri di vetro. Anche il Padre scende dalla cella per mangiare e vede la mensa rialzata da terra e preparata con inutile ricercatezza. Ma se la mensa ride, egli non sorride affatto.
Di nascosto e adagio adagio ritrae il passo, si pone in testa il cappello di un povero, presente in quel momento, e con un bastone in mano se ne esce fuori. E alla porta aspetta che i frati comincino a mangiare, perché erano soliti non aspettarlo quando non giungeva al segnale fissato.
Hanno appena cominciato e quel vero povero si mette a gridare dalla porta: «Per amore del Signore Iddio, fate l’elemosina a questo pellegrino povero e ammalato».
«Entra pure qui, tu, per amore di colui che hai invocato», gli rispondono i frati.
Entra subito e si presenta ai commensali. Quale stupore dovette destare il pellegrino in quei comodi cittadini!
Gli danno, a sua richiesta, una scodella ed egli, seduto solo per terra, la pone sulla cenere. «Ora sì, – esclama – sto seduto come un frate minore!» E rivolto ai frati: «Gli esempi della povertà del Figlio di Dio devono stimolare noi più degli altri religiosi. Ho visto una mensa preparata con ricercatezza ed ho pensato che non fosse quella di poveri che vanno di porta in porta».
Il seguito del fatto dimostra come Francesco fu simile a quel pellegrino, che nello stesso giorno era solo in Gerusalemme, e nondimeno con le sue parole rese ardente il cuore dei discepoli.
64. Poiché abbiamo fatto cenno ai letti, viene a mente un altro episodio forse utile a ricordarsi.
Da quando convertito a Cristo aveva dimenticato volontariamente le cose terrene, il Santo non volle più coricarsi su un materasso, né avere sotto il capo un cuscino di piume. Né infermità né ospitalità offertagli da altri potevano infrangere questa barriera di severità.
Gli capitò però nell’eremo di Greccio, che, essendo ammalato agli occhi più del solito, fu costretto controvoglia a servirsi di un modesto cuscino. Durante la prima notte sul far del giorno, il Santo chiama il compagno e gli dice «Fratello, non ho potuto dormire questa notte e neppure stare in piedi a pregare. Mi trema il capo, si piegano le ginocchia e mi sento scosso in tutto il corpo come se avessi mangiato pane di loglio. Credo – aggiunse – che vi sia il diavolo in questo cuscino che ho sotto il capo. Toglilo via, perché non voglio più avere il diavolo sotto la testa».
Il frate cerca di consolare il Padre, che continua a lamentarsi sottovoce, e prende a volo il cuscino, che gli è stato gettato, per portarlo via. Sta per uscire, quando all’improvviso perde la parola, ed è colto da tanto orrore e bloccato in tale modo che non riesce a muoversi dal luogo né ad articolare minimamente le braccia.
Poco dopo fu chiamato dal Santo, che si era accorto del fatto: fu così liberato e, tornato indietro, raccontò quello che gli era accaduto. «Ieri sera – gli disse il Santo – mentre recitavo compieta, ho capito con tutta chiarezza che il diavolo stava per venire alla mia cella». E aggiunse: «Il nostro nemico è molto astuto e di sottile ingegno: non potendo nuocere dentro all’anima, offre materia di malcontento almeno al corpo».
Facciano bene attenzione quelli che dispongono cuscini da ogni lato, così da appoggiarsi sul soffice ovunque si rivoltino. Il diavolo segue volentieri la molta ricchezza, gode di stare vicino a letti di gran pregio, particolarmente quando non si è costretti da necessità e lo vieta l’ideale professato.
E al contrario l’antico serpente rifugge dall’uomo spoglio d’ogni cosa, sia perché sdegna la compagnia del povero, sia perché teme l’altezza della povertà. Se il frate riflette che sotto le piume c’è il diavolo, il suo capo sarà contento della paglia.
753 167. Francesco stava attraversando su una piccola barca il lago di Rieti, diretto all’eremo di Greccio e un pescatore gli fece omaggio di un uccellino acquatico, perché se ne rallegrasse nel Signore.
Il Padre lo prese con piacere e, aprendo le mani, lo invitò con bontà a volersene andare liberamente. Ma l’uccellino rifiutò, accovacciandosi nelle sue mani come dentro a un nido. Il Santo rimase con gli occhi alzati in preghiera e poi, dopo lungo tempo, ritornato in se stesso come da lontano, gli ordinò di riprendere senza timore la libertà di prima.
E l’uccellino, avuto il permesso con la benedizione, se ne volò via, dando col movimento del corpo segni di gioia.
CAPITOLO XII
PREDICE AD UN ECCLESIASTICO DA LUI GUARITO
CASTIGHI PEGGIORI SE RICADRÀ NEL PECCATO
41. Nel tempo in cui il santo padre giaceva ammalato nel palazzo del vescovo di Rieti, era pure costretto in un letto, perché infermo e attanagliato dai dolori, un canonico, di nome Gedeone, uomo sensuale e mondano. Fattosi portare da Francesco, lo scongiurò con lacrime a voler fare su di lui il segno della croce.
Rispose il Santo: «Come posso benedirti se da gran tempo sei vissuto secondo i desideri della carne e senza timore del giudizio di Dio?». E continuò: «Ecco, io ti segno nel nome di Cristo. Ma tu ricordati che subirai pene maggiori se, una volta guarito, ritornerai al tuo vomito». E concluse: «Il peccato della ingratitudine riceve sempre castighi più gravi».
Tracciato su di lui un segno di croce, subito l’ammalato, che giaceva fino a quel momento rattrappito, si alzò sano, ed esclamò esultante: «Eccomi guarito!». Molti sono testimoni che le ossa della sua schiena scricchiolarono, come i legni secchi quando sono spezzati a mano. Ma passato poco tempo, dimenticatosi di Dio, si abbandonò di nuovo alla sensualità. Una sera si trovava a cena da un canonico suo collega e si fermò quella notte a casa di lui. All’improvviso crollò su tutti il tetto della casa; ma, mentre gli altri scamparono alla morte, lui solo, lo sventurato, fu schiacciato sotto il peso delle macerie e morì.
E non è meraviglia se, come aveva predetto il Santo, fu colpito da un castigo più grave del primo: perché si deve essere grati per il perdono ricevuto, e offende doppiamente la ricaduta nel peccato.
CAPITOLO XV
INVITA IL SUO MEDICO A PRANZO
MENTRE I FRATI SONO SPROVVISTI DI TUTTO
E IL SIGNORE PROVVEDE ABBONDANTEMENTE AL NECESSARIO.
LA PROVVIDENZA DI DIO VERSO I SUOI
44. Trovandosi Francesco in un eremo presso Rieti, era visitato ogni giorno dal medico per la cura degli occhi.
Una volta il Santo disse ai compagni: «Invitate il medico e preparategli un buon pranzo».
«Padre, – rispose il guardiano – te lo diciamo con rossore, ci vergogniamo ad invitarlo, tanto siamo poveri in questo momento».
«Volete forse che ve lo ripeta?» insistette il Santo.
Il medico era presente e intervenne: «Io, fratelli carissimi, stimerò delizia la vostra penuria».
I frati in tutta fretta dispongono sulla tavola quanto c’è in dispensa: un po’di pane, non molto vino e per rendere più sontuoso il pranzo, la cucina manda un po’di legumi. Ma la mensa del Signore nel frattempo si muove a compassione della mensa dei servi. Bussano alla porta e corrono ad aprire: c’è una donna che porge un canestro pieno zeppo di bel pane, di pesci e di pasticci di gamberi, e sopra abbondanza di miele ed uva.
A tale vista i poveri commensali sfavillarono di gioia, e messa da parte per il giorno dopo quella miseria, mangiarono di quei cibi prelibati. Il medico commosso esclamò: «Né noi secolari e neppure voi frati conoscete veramente la santità di questo uomo». E si sarebbero di certo pienamente sfamati, ma più che il cibo li aveva saziati il miracolo.
Così l’occhio amoroso del Padre non disprezza mai i suoi, anzi assiste con più generosa provvidenza chi è più bisognoso. Il povero si pasce ad una mensa più ricca di quella del re, quanto Dio supera in generosità l’uomo.
CAPITOLO LIX
DONA IL MANTELLO AD UNA POVERA DONNA
MALATA D’OCCHI
92. Mentre san Francesco si trovava nel vescovado di Rieti per curarsi gli occhi, una povera donna di Machilone venne dal medico, perché anche lei aveva una malattia simile a quella del Santo. Questi, parlando familiarmente al suo guardiano, cominciò a poco a poco a persuaderlo all’incirca così:«Frate guardiano, dobbiamo restituire ciò che è di altri».
«Certo, padre, se abbiamo qualcosa che non sia nostro».
«Restituiamo – continuò – questo mantello, che abbiamo ricevuto in prestito da quella poveretta, perché non ha nulla in borsa per le sue spese».
«Ma – obbiettò il guardiano – questo mantello è mio e non lo ho avuto in prestito da nessuno. usalo finché vorrai, e quando non lo vuoi più usare, rendilo a me». E in realtà il guardiano l’aveva comprato poco prima, perché era necessario a san Francesco.
«Frate guardiano, – continuò il Santo – tu mi sei sempre stato cortese: ti prego, mostra ora la tua cortesia».
«Ebbene padre, – concluse il guardiano – fa come vuoi, come ti suggerisce lo Spirito».
Francesco chiamò allora un secolare molto affezionato e gli disse: «Prendi questo mantello e dodici pani, va’da quella donna poverella e dille così: Il povero, al quale hai imprestato il mantello, ti ringrazia, ma ora riprendi ciò che è tuo».
Quello andò e riferì come gli era stato ordinato. La donna pensò che si volesse deriderla e gli rispose arrossendo: «Lasciami in pace col tuo mantello! Non capisco di che cosa parli».
L’altro insistette e gli lasciò tutto nelle mani. E la donna convinta che non c’era inganno, per timore che le venisse tolta una fortuna così impensata, si alzò nottetempo e, senza pensare alla cura degli occhi, se ne ritornò a casa col mantello.
APITOLO LX
GLI APPAIONO TRE DONNE LUNGO LA STRADA
E SCOMPAIONO DOPO AVERLO SALUTATO
IN UN MODO NUOVO
93. Riferirò in breve un fatto mirabile, di interpretazione dubbia, ma quanto a verità certissimo.
Francesco, il povero di Cristo, mentre da Rieti era diretto a Siena per la cura degli occhi stava attraversando la pianura presso Rocca Campiglia, in compagnia di un medico affezionato all’Ordine.
Ed ecco apparire lungo la strada al passaggio del Santo tre povere donne. Erano tanto simili di statura, di età, di aspetto, che le avresti dette tre copie modellate su un unico stampo. Quando Francesco fu vicino, esse, chinando il capo con riverenza gli rivolsero questo singolare saluto: «Ben venga, signora povertà». Il Santo si riempì subito di gaudio indicibile, perché non c’era per lui saluto più gradito di quello che esse gli avevano rivolto.
Pensando dapprima che le donne fossero realmente povere, si rivolse al medico che l’accompagnava: «Ti prego, per amore di Dio, fa’in modo che possa dare qualcosa a quelle poverette». Quello prontissimo trasse fuori la borsa e, balzato di sella, diede a ciascuna alcune monete.
Proseguirono quindi un poco per la strada intrapresa, quando tutto ad un tratto volgendo attorno lo sguardo, frate e medico, non videro ombra di donne in tutta la pianura. Altamente stupiti aggiunsero anche questo fatto alle meraviglie del Signore, perché evidentemente non potevano essere donne, quelle che erano volate via più rapide degli uccelli.
CAPITOLO LXXXIX
ASCOLTA UN ANGELO SUONARE LA CETRA
126. Al tempo in cui soggiornava a Rieti per la cura degli occhi, chiamò un compagno che, prima d’essere religioso, era stato suonatore di cetra, e gli disse: «Fratello, i figli di questo mondo non comprendono i piani di Dio. Perché anche gli strumenti musicali, che un tempo erano riservati alle lodi di Dio, sono stati usati dalla sensualità umana per soddisfare gli orecchi. Io vorrei, fratello, che tu in segreto prendessi a prestito una cetra, e la portassi qui per dare a frate corpo, che è pieno di dolori, un po’di conforto con qualche bel verso». Gli rispose il frate: «Mi vergogno non poco, padre, per timore che pensino che io sono stato tentato da questa leggerezza».
Il Santo allora tagliò corto: «Lasciamo andare allora, fratello. È bene tralasciare molte cose perché sia salvo il buon nome».
La notte seguente, mentre il Santo era sveglio e meditava su Dio, all’improvviso risuona una cetra con meravigliosa e soavissima melodia. Non si vedeva persona, ma proprio dal continuo variare del suono, vicino o lontano si capiva che il citaredo andava e ritornava. Con lo spirito rivolto a Dio, il Padre provò tanta soavità in quella melodia dolcissima, da credere di essere passato in un altro mondo.
Al mattino alzatosi, il Santo chiamò il frate e dopo avergli raccontato tutto per ordine, aggiunse: «Il Signore che consola gli afflitti, non mi ha lasciato senza consolazione. Ed ecco che mentre non mi è stato possibile udire le cetre degli uomini, ne ho sentita una più soave».
CAPITOLO CXXVI
UN UCCELLINO Sl POSA NELLE SUE MANI
753 167. Francesco stava attraversando su una piccola barca il lago di Rieti, diretto all’eremo di Greccio e un pescatore gli fece omaggio di un uccellino acquatico, perché se ne rallegrasse nel Signore.
Il Padre lo prese con piacere e, aprendo le mani, lo invitò con bontà a volersene andare liberamente. Ma l’uccellino rifiutò, accovacciandosi nelle sue mani come dentro a un nido. Il Santo rimase con gli occhi alzati in preghiera e poi, dopo lungo tempo, ritornato in se stesso come da lontano, gli ordinò di riprendere senza timore la libertà di prima.
E l’uccellino, avuto il permesso con la benedizione, se ne volò via, dando col movimento del corpo segni di gioia.
CAPITOLO XXI
FRANCESCO PREDICA AGLI UCCELLI
E TUTTE LE CREATURE GLI OBBEDISCONO
61. Altrettanto affetto egli portava ai pesci, che, appena gli era possibile, rimetteva nell’acqua ancor vivi, raccomandando loro di non farsi pescare di nuovo. Un giorno standosi egli in una barchetta nel porto del piccolo lago di Piediluco, un pescatore gli offrì con riverenza una tinca che aveva appena pescato; egli accolse lietamente e premurosamente quel pesce, chiamandolo fratello poi lo ripose nell’acqua fuori della barca e cominciò a lodare il nome del Signore. E per un po’ di tempo il pesce, giocando giulivo nell’acqua, non si allontanò, finché il Santo, finita la preghiera, non gli diede il permesso di partirsene.
Ecco come il glorioso padre Francesco, camminando per la via dell’obbedienza e della perfetta sottomissione alla volontà divina, si meritò sì grande potere da farsi obbedire dalle creature! Perfino l’acqua infatti si mutò in vino per lui, quando giaceva gravemente infermo nello Speco di Sant’Urbano (presso Stroncone). Appena ne bevve, guarì e tutti capirono che si trattava davvero di un miracolo.
E veramente non può essere che un santo colui al quale le creature obbediscono in questo modo e se ad un suo cenno cambiano natura gli stessi elementi!
CAPITOLO XIV
RITORNO DEL SANTO
DA ROMA NELLA VALLE SPOLETANA
E SUA SOSTA NEL VIAGGIO
34. Francesco con i compagni, pieno d’esultanza per il dono di un così grande padre e signore, ringraziò Iddio onnipotente, che innalza gli umili e conforta gli afflitti (Gb 5,11); fece subito visita alla basilica di San Pietro e, finita la sua preghiera, riprese con i fratelli il cammino di ritorno verso la valle di Spoleto. Cammin facendo, andavano ripensando gli innumerevoli e grandi benefici ricevuti da Dio clementissimo; la cortesia con la quale erano stati accolti dal Vicario di Cristo, Pastore benevolo e universale della Cristianità; ricercavano insieme qual fosse il modo migliore di adempiere i suoi consigli e comandi, come osservare e custodire con sincerità e fedeltà la Regola; come dovevano camminare santamente e religiosamente davanti all’Altissimo; infine come la loro vita e i loro costumi, mediante la crescita nelle sante virtù, avrebbe potuto essere d’esempio agli altri.
I nuovi discepoli di Cristo avevano già conversato a lungo in ispirito di umiltà di questi santi argomenti, e il giorno volgeva al tramonto. Si trovavano, in quel momento, molto stanchi e affamati, in un luogo deserto, e non potevano trovare nulla da mangiare, poiché quel luogo era molto lontano dall’abitato. Ma all’improvviso, per divina provvidenza, apparve un uomo recante del pane; lo diede loro e se ne andò. Nessuno di loro l’aveva mai conosciuto, e perciò, pieni di ammirazione, si esortavano devotamente l’un l’altro a confidare sempre di più nella divina misericordia. Dopo essersi ristorati con quel cibo, proseguirono fino ad un luogo vicino a Orte, e qui si fermarono per circa quindici giorni. Alcuni di loro si recavano in città a cercare il vitto necessario e riportavano agli altri quanto erano riusciti a racimolare chiedendo l’elemosina di porta in porta, e lo mangiavano insieme lieti e ringraziando il Signore. Se avanzava qualcosa, quando non potevano donarla ai poveri, la riponevano in una fossa, che un tempo era servita da sepolcro, per cibarsene il giorno seguente. Quel luogo era deserto e non vi passava quasi nessuno.
PARALITICI GUARITI
129. Un abitante di Foligno, di nome Nicolò, era paralizzato alla gamba sinistra. Straziato dal dolore, aveva speso più di quanto potesse in medici, fino a indebitarsi, nella speranza di ricuperare la salute. Vedendo che tutte le cure non approdavano a nulla e rincrudendosi il dolore al punto che con i suoi ripetuti urli nella notte impediva il sonno anche ai vicini, decise finalmente di votarsi a Dio e a san Francesco, e si fece condurre sul sepolcro di lui. Vi rimase una notte intera in preghiera. Ed ecco, poté tornare a casa con le proprie gambe, senza bastone, il cuore pieno di gioia.
III
GLI INDEMONIATI LIBERATI
137. Viveva a Foligno un uomo di nome Pietro. Postosi in cammino per visitare il santuario di San Michele arcangelo, non si sa se per adempiere un voto o per soddisfare una penitenza impostagli, – arrivato ad una fonte, stanco e assetato, prese a bere dell’acqua; e gli sembrò d’avere ingoiato dei demoni. Ed effettivamente da quell’istante rimase ossesso per tre anni, dicendo e compiendo cose orrende. Si portò alla tomba del santissimo padre Francesco, e vi giunse ancora strapazzato dai demoni, più che mai furiosi contro di lui; appena toccò il sepolcro, fu, con evidente e chiaro miracolo, liberato del tutto e per sempre.
138. Una volta il Santo apparve a una donna di Narni che era furiosa e talmente fuori di sé che faceva e diceva cose spaventose e sconce, e le disse: «Fatti un segno di croce». Quella rispose di esserne impedita. Allora Francesco stesso glielo impresse sulla fronte, e all’istante fu liberata dalla pazzia e da ogni influsso demoniaco.
Innumerevoli sono stati gli infelici, uomini e donne che, tormentati in vari modi e con molteplici inganni dai demoni, furono liberati in virtù dei meriti del glorioso padre. Ma siccome tali persone possono essere sovente vittime piuttosto di illusioni, ne abbiano fatto soltanto un rapido accenno, per passare al racconto di fatti più importanti e mirabili.
© FRANCESCO'S WAYS | Privacy Policy | Crediti